giovedì 16 giugno 2011

Silenzi - Parte I

E’ che a me guardare negli occhi un bambino fa sempre venire in mente Enza.

E’ una storia di qualche anno fa che mi si è insinuata dentro e non mi fa andare avanti.

Enza. Un’acciughina bionda, esile come un ramo di giunco. Con tutte quelle venuzze azzurre a segnarle la pelle chiara.

Diagnosi: mutismo elettivo.

Alla fine di agosto mi arrivò la chiamata tanto attesa: una supplenza nella scuola media di ****** a ricoprire l'insegnamento di sostegno per una bambina di prima, Enza, appunto. Di soli quattro mesi, però.

-Ma tanto te lo rinnovano di sicuro - mi disse la mia amica Roberta, insegnante precaria di vecchia data che però aveva sempre lavorato qua e là. - L’importante è lavorare! - diceva.

Ero ancora in vacanza e una voce sbrigativa da segretaria annoiata mi informò che avrei avuto l’incarico per quattro mesi e per nove ore settimanali. Punto.

- Dunque, accetta?-

-Sì che accetto, ma mi può dire che problemi ha la ragazzina?-

- Questo non lo so... non spetta a me dirlo. Venga a scuola e ne parlerà con la responsabile del sostegno, la professoressa Zampini. -

Okay.

-E sa in quali giorni dovrei lavorare?- chiesi.

- L’orario non è ancora definitivo. Allora... accetta? Deve dirmelo subito perché altrimenti devo cercare un'altra insegnante!-

-Sì, le ho già detto di sì. Accetto.-

Certo che accetto, pensai, dopo due anni di scuola di specializzazione per l’insegnamento e uno per il sostegno a buttare il sangue su diagnosi funzionali, piani educativi individualizzati, e la professionalizzazione dell’insegnamento e blah e blah e blah! Certo che accetto, diamine!


Il viaggio di dodici ore attraverso l’Italia non lo raccomando a nessuno.

Be’, sì, si può sempre dire che è bello viaggiare in treno piuttosto che in aereo perché vivi per davvero le proporzioni del viaggio e del cambiamento e che gli incontri che fai sono unici. Però la verità è che all’arrivo avevo un herpes di proporzioni colossali e l’unica persona che avevo incontrato era stata una donna che per tutta la notte non aveva fatto altro che parlare al cellulare dei fatti suoi: figli, debiti e amanti compresi.


La dirigente, la terribile professoressa Pontalti, una ultracinquantenne tutta management e bilanci, mi accolse in quella stanza allora sconosciuta piena di trofei, coppe, piante e carte.

-Ben arrivata! – mi disse, ma col sottotesto di Era ora!, perché la riunione della commissione del sostegno si era già tenuta qualche giorno prima, ma io non ero potuta arrivare in tempo perché dovevo preparare i bagagli di un anno di vita lontana da casa, comprare almeno un tailleur e un paio di cardigan e organizzare il viaggio.

- Sì, alla fine ce l’ho fatta! – azzardando, io, un sorriso a malapena corrisposto.

- Dunque, a lei è stato assegnato il caso di Enza Poli, di I D! Nove ore settimanali.

-Sì, mi hanno detto...ma la diagnosi?-

- E’ un caso di... un caso di... dunque, di...ecco! mutacismo o mutismo elettivo!- disse cercando tra le tante carte che affollavano la scrivania.

- Ho capito. – anche se in realtà non ne avevo neanche mai sentito parlare – e di lei cos’altro sappiamo?

-... –

- Cioè, qual è la sua storia personale? -

- E chi lo sa! Questo dovrà ricostruirlo lei! Sa quanti studenti certificati abbiamo e quanti, di più!, ci danno problemi? Vada a parlare con la professoressa Zampini, è lei che si occupa del sostegno qui dentro. E’ in questa scuola da anni! – disse alzandosi e accompagnandomi alla porta con il sorriso di chi ti dà una dritta importante! – L’aiuterà!-.

- E...dove la trovo?-

-Chieda in bidelleria! – congedandomi.

La professoressa Ilda Zampini non c’era e sarebbe passata da scuola l’indomani.

A dieci giorni dall’inizio delle lezioni non sapevo ancora nulla di Enza e non avevo neanche una casa e, a pensarci bene, non avevo ancora neppure firmato il contratto!

Tornai dalla dirigente , un po’ seccata, mi disse di andare in amministrazione, dove di norma! avrei dovuto essere già stata prima di andare da lei e lì avrei trovato il mio contratto da firmare.

Be’, un iter un po’ strano, pensai, perché...

Ma non dissi nulla e andai a firmare questo benedetto contratto che aveva come scadenza il 31 gennaio. Proprio la fine del quadrimestre!, pensai.

Ora mi restavano da fare due cose: trovare casa e scoprire cosa fosse il mutacismo o mutismo elettivo.

Le bidelle mi indirizzarono verso una bacheca dove qualche privato aveva affisso annunci di monolocali “vicinissimi alla scuola, termoautonomi, modica cifra!” proprio per gli insegnanti che come me venivano da fuori. Telefonai al primo della lista e accettai senza neanche vederlo, il monolocale nuovissimo, vicinissimo alla scuola, prezzo modico!, sperando che fosse ancora libero.

Lo era e anche se la cifra non era tanto modica. Accettai perché gli altri erano già stati occupati qualche giorno prima e soprattutto perché, a cinque ore dal mio arrivo in quel paesello sperduto sotto le Dolomiti, giravo ancora per la scuola con i miei due bagagli pesanti e ingombranti come bauli e uno zaino in spalla!

Prima di andare nella mia nuova casa, volevo sapere cosa fosse la malattia di Enza. Si trattava di un disturbo psichico per il quale il bambino, pur sapendo parlare, decide di non farlo: parla solamente in determinate situazioni o con certe persone. E’ spesso erroneamente assimilato all’autismo. Il rapporto interpersonale genera un alto tenore di tensione e d’ansia che porta ad un blocco psichico.


Il monolocale era in realtà una mansarda al terzo piano di uno stabile in pietra con tetto spiovente in legno, con le enormi travi bene in vista. Alle finestre gerani che tentavano di dare un che di naturale e vivo ad una struttura che a me è subito sembrata disabitata.

E infatti ero l’unica che avrebbe abitato lì. Intorno le case sembravano mute anch’esse. Venuta la sera mi aspettavo di vedere una luce accendersi, magari proprio nella casa di fronte alla mia, ma niente! Nessuna luce si accese e subito dopo cena, dopo aver disfatto i bagagli, spensi anche la mia. Feci fatica ad addormentarmi e ascoltai invece i nuovi rumori notturni. Lo scricchiolio dei mobili, delle pareti e della rete del mio letto.

Dormii poco quella notte e pensai molto a come sarebbe stato vivere lì e a come sarebbe stata Enza Poli.

Il giorno dopo incontrai nei corridoi della scuola la prof.ssa Zampini, una donna corpulenta, indaffarata e sbrigativa. Mi sembrò subito molto pratica. Mi strinse la mano con forza, senza sorridere e scartabellando velocemente un fascicolo con l’altra mano. Mi parlò di Enza in una maniera rapida e pratica, appunto. Un po’ banale.

-Ha dodici anni. E’ figlia unica. Non ha particolari problemi cognitivi e parla...biascica, bisbiglia solo con alcune persone...Ha bisogno di fidarsi delle persone con cui viene a contatto. Avviene molto... molto raramente.

-Sa badare a se stessa? Cioè...nella cura personale, nei movimenti...- precisai.

-Non proprio...è insicura a stare in mezzo agli altri. Ha paura ad esporsi.-

-Le cause del mutismo?-

-Ipotesi, supposizioni...nessuna certezza. E a noi in fondo non importa quali siano le cause di un disagio. Noi non siamo neuropsichiatri, siamo insegnanti. Noi dobbiamo solo prenderci cura di loro. No?- disse guardandomi negli occhi.

Non ero, come ora, d’accordo con quest’affermazione, ma non ne parlai.

La fermai ancora un attimo per chiederle il fascicolo personale di Enza, ma velocemente mi disse di chiedere alle bidelle.

Il fascicolo consisteva in 3 fogli formato A/4 di informazioni generiche che avevo già trovato su internet.

Enza dov’era?

Di Enza in quei fogli non c’era alcuna traccia. “la ragazzina non sa sostenere una interrogazione orale di fronte alla classe” ... “la ragazzina non sa leggere a voce alta davanti ai compagni” ...”l’alunna non sa rapportarsi agli adulti e anche al gruppo dei pari”... e frasi del genere.

Ma Enza dov’è? Cosa sa fare? Cos’è? Cosa vuol essere? E cosa le hanno fatto? E perché? E la famiglia dov’è?

Niente.

Mi misi in testa che Enza era proprio fuori da quelle pagine e lontanissima dalla sua scheda personale; era tra una frase e l’altra della scheda, nel bianco della pagina, nel vuoto di quell’inchiostro stupido e muto, quello sì muto!

E lì avrei dovuto cercarla. Avrei dovuto inseguirla sul terreno dei suoi silenzi. Speravo che lì mi avrebbe accolto, con tutto il mio impaccio vocale.


Il primo giorno in cui l'avrei vista ero un po’ emozionata e aspettavo con ansia di conoscerla.[...] TO BE CONTINUED...

Brano tratto dal racconto inedito Silenzi di Maria Luigia Longo



4 commenti:

Anonimo ha detto...

E´successo anche a me...tanti anni fa, quando non ero ancora una donna.Una supplenza tra un esame e l'altro,un'esperienza che mi ha colmato la vita.
Ipovedente e autistica.Per me, solo una bimba che voleva essere ascoltata e amata e...considerata una bambina.
lo sappiamo solo noi quanto questi incontri ti restano nel cuore...
laura

Anonimo ha detto...

... una storia purtroppo molto vera e troppo frequente... cara Gigia, attendo (ma non mi illudo) il LIETO FINE...
la Simo

Maria Luigia Longo ha detto...

Ciao laura! In realtà non ho raccontato un mio incontro reale;
volevo soltanto personificare decine e decine di miei incontri, di mie sensazioni e dubbi.
La realtà scolastica poi vive di queste situazioni e di questi abbandoni forzati, senza che il percorso sia concluso naturalmente.
Mi fa piacere sapere che in qualche modo abbia riconosciuto una situazione.
Va' a leggere la continuazione! Poi mi dirai...
a presto!

Maria Luigia Longo ha detto...

sì, simona, nella finzione narrativa, una storia vera. ti ho accontentata: ho aggiunto la continuazione e il finale!
baci