giovedì 28 marzo 2013

(Lampedusa)



Io sono - mentre tu in potenza d'essere
rimani muto
a quasi chiedere
d'esser riconosciuto umano
e in questo vuoto di parola
innominato da un'esistenza non significata
ancora forse ti stupisci di quest'accoglienza
e brancoli malconcio in una Terra
che non sa più [...] non sa di [...] non può [...] 

E anche io in questo silenzio inospitale
ricerco almeno una parola
per dire ancora
io sono e non soltanto
ricordo sconfitto [...] d'un'umanità
senza futuro.

(Maria Luigia Longo, Rime private, p. 9)


martedì 26 marzo 2013

Al fianco del giorno


Al fianco del giorno
la battaglia continua
e prendo tempo
lo perdo
e lo riprendo

e passo di là
dove forse il dio della parola
m'accoglie
ma di lui tempo l'ira per la mia
vita fuori dai versi

Un'altra bellezza vado cercando
che pure è poesia
e ha la forza di
trascinarmi lì
dove
è il puzzo
di sudore misto al pianto
che nutre la mia voce / il mio canto.

(Maria Luigia Longo, Paesaggi di tempo, p. 40)




domenica 24 marzo 2013

Ma se un giorno tu




      ***

 Ma se un giorno tu
 di me vorrai la voce
 cercala lì 
 nel tuo incedere snello
 mentre mi vieni incontro
 e dove io ancora m'accomodo
 e ti attendo 

( Maria Luigia Longo, Paesaggi di tempo, p. 35 )


sabato 23 marzo 2013

Forse avanzando nella nebbia degli anni





Forse avanzando nella nebbia degli anni,
a tratti più densa a tratti più rada, vedrò
la casa, quella casa, davanti a me e il vuoto
dietro, scartocciato in un incanto.

Poi come dapprima in uno sciame di fondo,
s'affolleranno visi voci movenze e poi
come a rappresentanza del presente.
Ma sarà tardi; e resterò in piedi a tenere
in equilibrio, col mio segreto dentro,
le parole che parlano il mio oggi.

(Maria Luigia Longo, Rime Private, p. 4)



mercoledì 20 marzo 2013

E' – e non poteva non essere -






E' – e non poteva non essere -
questo silenzio che allunga le mani
mettendo al mondo le frasi
a posto le cose le lingue i domani
seguendo le voci nel mondo.

Cammino e a volte
mi pare tutto uno strascico
d'ossa questo guardarsi di sguincio
e cercare l'abisso e poi scriverci sopra.

( Maria Luigia Longo, da Rime private, p. 5) 


Restano di quegl'anni




Restano di quegl'anni l'odore del fumo
delle stoppie bruciate e al mattino il pane
immerso nel latte, l'acqua sul fuoco
il grembiule bagnato, lo squarcio nelle calze di nylon
e la notte ad attendere l'alba per uscire tra i filari
e cercare dietro le case vecchie il nuovo.

Dovevamo crescere con l'idea che nel buio
si cerca l'inizio si cerca la luce e seduti si resta
a parlare a scherzare e a fare domande persino su dio.

(Maria Luigia Longo, Rime private, p. 4)



domenica 17 marzo 2013

Censimento della poesia Italiana under 40/pordenonelegge



21 Marzo

Giornata mondiale della poesia UNESCO

pordenonelegge: al via il Censimento della poesia Italiana under 40 e il progetto immaginare poesia – 6 poem trailer
in collaborazione con la Scuola di Cinema della Fondazione Milano


Cari amici,
nel giorno della la Giornata mondiale della poesia Unesco – che non a caso si festeggia il 21 marzo, all’inizio della primavera - pordenonelegge annuncia un progetto di grande interesse nazionale, strettamente legato alle radici del festival e alle iniziative che da molte stagioni pordenonelegge promuove intorno al “fare poesia”. 
Si tratta del primo censimento della poesia italiana under 40, realizzato in queste settimane e ultimato in questi giorni. Sono stati gli stessi poeti a segnalare i loro “colleghi” più interessanti tra quelli che avevano all’attivo almeno una pubblicazione. Dei 240 poeti ufficialmente censiti sul sito del festival è visibile una sintetica bio-bibliografia, una poesia e un contatto web. 
Qui, sotto la lettera L, trovate anche me.
Vi abbraccio,
m.l.

sabato 16 marzo 2013

Tre ragazze, l'ombrello e il senegalese



Piove. Tre ragazze scendono da una Multipla color ruggine, appena parcheggiata nel parcheggio a lisca di pesce del pub Gleeson’s. Nessuna di loro ha l’ombrello. Tutte, d’istinto, si coprono la testa con le mani. Si avviano a passi veloci verso il pub.
La più alta e l’unica con i capelli lunghi e biondi, chiede alle altre: “ Prendo l’ombrello in macchina?”
L’unica con gli occhiali le risponde: “No, non serve. Corriamo veloci verso il Gleeson’s!”
La più robusta, l’unica delle tre rimasta un po’ indietro rispetto alle altre due e la più vicina alla macchina, dice: “Ma se volete, io l’ombrello ce l’ho: è in macchina!”
“No, tranquilla, non serve. Cosa ci mettiamo ad entrare? Trenta secondi?” dice occhiali.
Sotto il portico, appena fuori dall’ingresso del supermercato adiacente al pub, un ragazzo senegalese, alto, longilineo e sorridente, con un cappotto di pelle grigia lungo fino alle ginocchia le guarda e, agitando un ombrellino preso da un banchetto di legno alle sue spalle sul quale sono esposti almeno una decina di ombrelli di tutti i colori e di diverse dimensioni, grida: “Buongiorno, belezze! Come va? Vuoi ombrello?”.
Le tre ragazze guardano nella direzione del giovane. Si fermano e parlottano fra di loro, poi si avvicinano al banchetto degli ombrelli. Ne prendono in mano un paio a testa, li guardano da vicino; la ragazza più alta ne apre uno grande e lo prova. Le altre due se ne scambiano un paio e la ragazza più robusta chiede il prezzo.
“Bella, per voi dieci euro!” risponde il senegalese e sorride.
“Dieci euro quello grande o quello piccolo?” chiede occhiali.
“Dieci euro, per te!” e sorride, mostrando i denti bianchissimi.
“Sì, ma dieci per questo o per questo?” e agita prima l’ombrello piccolo poi quello più grande che ha in mano.
“Tutti due!” dice.
“No, a me ne serve solo uno.” dice alta e bionda.
“Ok, quattro euro ombrello piccolo e sei euro ombrello grande!”
“Ma, scusate, ci serve un ombrello?” chiede alle altre due occhiali.
“Prendi ombrello, dài! Piove” dice il senegalese, indicando il cielo e poi allargando le braccia.
“Sì, ma noi ne abbiamo due in macchina e, tra l’altro, ormai siamo sotto il portico e per entrare non ci bagniamo ”, dice occhiali.
“ Dài, piove, bagni capelli…poi brutta” e ride, mostrando ancora una volta i denti.
“Va be’…prendo questo piccolo!” dice alta e bionda e prende i soldi dalla tasca della giacca.
“Grazie!” dice il senegalese, prendendo i soldi. “Tu buona!”
Le tre ragazze sorridono, lo salutano stringendogli la mano e di corsa, passando sotto il portico del supermercato e non usando l’ombrello, entrano nel pub.


(Maria Luigia Longo, dal Reportage fotografico a parole, prosa-cantiere)




Bolle di sapone





In un istante la vita può avere la forza di trascinarti in luoghi da cui è impossibile tornare. Capita all'improvviso di vedere inerme sul viso dell'uomo che ami i segni della tragedia che sta per arrivare. Il suo corpo appare ad un tratto come la mappa delle sue mancanze ma anche della tua impotenza. E di solito quella mappa non ha con sé navigatore o libretto delle istruzioni. Quel corpo diventa l'eco di ciò che è stato e non si può fermarne il declino.
Questo è quello che penso ogni volta che resto seduta davanti alla porta degli studi medici che fagocitano mio marito e lo trattengono per esami, accertamenti, visite di cui poi, alla fine, mi rimane solo la sensazione di terrore  e di perdita del controllo sulle nostre vite. All'inizio lo seguivo anche lì, rispondevo per lui, lo aiutavo a muoversi, ma ora lo conoscono e sanno come prenderlo. Preferisco aspettarlo qui fuori. Mentre lui sparisce dietro i camici bianchi io resto sospesa in un tempo fatto d'angoscia e di pensieri fluttuanti che la mente cerca di ancorare attorno a ricordi positivi di episodi familiari. Ripenso a com'era quando l'ho conosciuto, alla sua energia che ormai non c'è più. E' difficile continuare ad amare una persona che vedi solo attraverso ciò che non è più. E questo è avvenuto con poche avvisaglie per cui, all'inizio, lo prendevo anche un po' in giro. La malattia, questa malattia, sa prendersi beffa della serietà di un uomo e all'inizio si mimetizza con le disattenzioni quotidiane, quando invece si palesa è già troppo tardi. E adesso lo è.
Quando due anni fa ci hanno diagnosticato l'Alzheimer (dico ci perché coinvolge più esistenze), ho iniziato ad attaccare come figurine in un album tutti gli episodi in cui Ettore è stato distratto o ha perso o dimenticato qualcosa.

All'improvviso hai dimenticato con crescente frequenza chiavi, portafogli, agende, relazioni, incontri. E, da un certo momento in poi, la casa si è riempita di oggetti che avevi usato tu e che, nonostante fossi ordinato, non avevi più riposto: tazze, bicchieri, riviste, panini lasciati a metà.
La prima volta è stato quando ti ho trovato davanti al frigorifero aperto, con la lista della spesa in mano.
“Questo non l'ho preso” e scuotevi la testa. “ Neanche il latte” e scorrevi il foglietto che avevi preparato prima di uscire.
“L'età avanza, papà?” Cecilia che nel frattempo era entrata per bere.
Ci avevi guardato con un'espressione che adesso capisco davvero.
“Marta, ho comprato altre cose” e ti sei seduto a rileggere la lista “Ho dimenticato il latte, lo zucchero; ho preso tre dentifrici, ma non ci servono”.
“Ettore, pazienza! Il latte e lo zucchero va a comprarli Cecilia.”
“ Ragazze, io non vado più al supermercato. Troppa gente, mi dà fastidio, mi scordo le cose... ” e lo dicevi come se ne sentissi ancora la sensazione addosso.
“ In effetti il sabato è un inferno!”
“Ma poi tutti quei colori, la musica alta, mi mandano in tilt!” e mi hai abbracciata, in cerca di un rifugio.
Dopo qualche giorno la tua espressione smarrita si è ripetuta all'uscita del cinema: ti sei fermato e ti sei guardato attorno. Hai portato la mano al mento, come quando vuoi ricordare qualcosa. Io  aspettavo, ridendo. Poi hai allargato le braccia in segno di resa.
“Marta, ma dove abbiamo parcheggiato?”
“Stai proprio invecchiando, tesoro!” Ti ho preso a braccetto e ti ho indirizzato. Anche quella volta ci abbiamo riso su.
Qualche giorno dopo è stata la volta del PIN del bancomat al ristorante. Anche lì ti sono venuta in soccorso.
“Non l'accettano?”
“Sì, ma è che non prende il PIN”
“L'hai digitato bene?”
“Prova tu!” e avevi già quell'espressione di allarme.
“Ma te lo ricordi il numero?”
Come risposta mi hai dato solo quello sguardo confuso.
“Marta, io proprio non me lo ricordo”

Le attese sulla sedia della clinica sono l'unico momento che ho per ripensare a tutto. So che è inutile e che non servirà né a te né a me continuamente ripensare agli inizi, ma ho bisogno di collocare la nostra situazione in questo mondo: avere un riferimento temporale mi fa pensare che siamo ancora nei confini dell'umano e che posso farcela a gestire tutto. Ho bisogno di sapere che c'era un prima in cui stavamo bene, altrimenti mi cade tutto addosso. 
Ricordo che abbiamo iniziato a preoccuparci quando ti sei accorto che avevi delle perdite di equilibrio e in due casi sei anche caduto: un uomo alto e solido come te!
“Ettore, stai bene?”
“Sì, è che avete spostato il tappeto e sono inciampato!”.
“E' sempre stato lì” ho risposto “Ma poi solleva i piedi quando cammini! Continui a trascinarli!”
Quello è stato un periodo pieno di tensione perché eri spesso arrabbiato, nervoso e pieno di sospetto: quando non trovavi qualcosa era perché qualcuno te l'aveva spostata o nascosta e si divertiva a farti impazzire. In quel periodo la malattia ha provato a metterci l'uno contro l'altra.

L'attesa mi dà modo di stare in silenzio, cosa che quando sto con te ormai non faccio più: ti parlo e ti spiego tutto quello che avviene, in una sorta di reportage continuo. A voce alta, come se fossi sordo.
Restare seduta qui, davanti alla porta chiusa del medico, mi dà la possibilità di riordinare le idee, di fare il punto della situazione e di dare un nome alle cose. Altra cosa che tu non sai fare più, ad esempio. Adesso lo so che la perdita del linguaggio è uno dei sintomi della malattia e tutti gli scambi di lettere  di parole assonanti o non assonanti ora non mi fanno più ridere. La loro frequenza costituisce l'inizio del declino.
“Ettore, dove hai messo il giornale?”ti ho chiesto una volta.
“Lì sul cavolo” e poi hai ripetuto subito la parola corretta, come per fare in modo che nessuno sentisse, ma ormai era successo e non siamo più riusciti a recuperare. Lo sfaldamento del linguaggio è stato progressivo e ha coinvolto nomi, verbi e poi intere frasi. Ora non parli quasi più, biascichi qualcosa che rimane sospeso come rumore di fondo.
Guardo nella borsa e trovo tutto quello che ti è necessario per mantenere un'esistenza dignitosa: i tuoi documenti (anche quelli della malattia), i fazzoletti per asciugarti la saliva che hai iniziato a perdere, le salviettine per pulirti quando te la fai addosso, un pannolone, le tue medicine. C'è anche il tubo delle bolle di sapone. Non sono di nessun bambino e non l'ho comprato per sbaglio: sono per te. Le avevi viste una volta all'ingresso del centro commerciale e sei rimasto a guardarle, rapito. Non riesci a soffiare dentro il sapone e le bolle proprio non escono, ma a quello penso io: tu guardale solo muoversi nell'aria leggere, con quell'espressione rapita di una coscienza impalpabile e lieve.

Mi guardo riflessa nel vetro opaco della porta che dà sul corridoio dell'altra ala della clinica e vedo una donna che in tutto assomiglia a me, ma che è tenuta in piedi da ciò che eravamo.
Quando tu sarai completamente assente riuscirò a tenere da sola il peso di ciò che eravamo?

(Maria Luigia Longo, inedito, Prosa-Cantiere)



venerdì 8 marzo 2013

Nei fiumi a nord del futuro




Nei fiumi a nord del futuro
getto la rete che tu,
esitante, carichi
di ombre scritte
da pietre


In den flussen nördlich der Zukunft

In den flussen nördlich der Zukunft
werf ich das Netz aus, das du
zögernd beschwerst
mit von Steinen geschriebenen
Schatte.

(Paul Celan, da "Virata di respiro"/"Atemwende")


Dino Campana controlla l'autobiografia nel manicomio di Castel Pulci



Ero buono per la chimica, per la chimica pura.
Ma preferii fare il vagabondo.
Vidi l'amore di mia madre nelle bufere del pianeta.
Vidi occhi senza corpo, occhi sospesi orbitando sul mio letto.
Dicevano che non stavo bene di testa.
Presi treni e barche, percorsi la terra dei giusti
di buon mattino e con la gente più umile:
gitani e mercanti.
Mi svegliavo presto o non dormivo. Nell'ora
in cui la nebbia non era ancora svanita
e i fantasmi a guardia del sonno comunicano inutilmente.
Sentivo gli avvisi e gli allarmi ma non ho saputo decifrarli.
Non erano diretti a me bensì a quelli che dormivano,
però non ho saputo decifrarli.
Parole inintelligibili, grugniti, gridi di dolore, lingue
straniere sentivo ovunque andassi.
Esercitai i mestieri più umili.
Percorsi l’Argentina e tutta l'Europa nell'ora in cui tutti
dormono e appaiono i fantasmi a guardia del sonno.
Ma proteggevano il sonno degli altri e non ho saputo
decifrare i loro urgenti messaggi.
Frammenti, forse sì, e per questo visitai i manicomi
e le prigioni. Frammenti,
sillabe brucianti.
Non credevo alla posterità, benché talvolta
credessi alla Chimera.
Ero buono per la chimica, per la chimica pura.



Dino Campana revisa su biografía en el psiquiátrico de Castel Pulci

Servía para la química, para la química pura.
Pero preferí ser un vagabundo.
Vi el amor de mi madre en las tempestades del planeta.
Vi ojos sin cuerpo, ojos ingrávidos orbitando alrededor de mi lecho.
Decían que no estaba bien de la cabeza.
Tomé trenes y barcos, recorrí la tierra de los justos
en la hora más temprana y con la gente más humilde:
gitanos y feriantes.
Me despertaba temprano o no dormía. En la hora
en que la niebla aún no ha despejado
y los fantasmas guardianes del sueño avisan inútilmente.
Oí los avisos y las alertas pero no supe descifrarlos.
No iban dirigidos a mí sino a los que dormían,
pero no supe descifrarlos.
Palabras ininteligibles, gruñidos, gritos de dolor, lenguas
extranjeras oí adonde quiera que fuese.
Ejercí los oficios más bajos.
Recorrí la Argentina y toda Europa en la hora en que todos
duermen y los fantasmas guardianes del sueño aparecen.
Pero guardaban el sueño de los otros y no supe
descifrar sus mensajes urgentes.
Fragmentos tal vez sí, y por eso visité los manicomios
y las cárceles. Fragmentos,
sílabas quemantes.
No creí en la posteridad, aunque a veces
creí en la Quimera.
Servía para la química, para la química pura.

(Roberto Bolaño, 1953 - 2003)


giovedì 7 marzo 2013

Anche tu sei l'amore


Anche tu sei l'amore.
Sei di sangue e di terra
come gli altri. Cammini
come chi non si stacca
dalla porta di casa.
Guardi come chi attende
e non vede. Sei terra
che dolora e che tace.
Hai sussulti e stanchezze,
hai parole - cammini
in attesa. L'amore
è il tuo sangue - non altro

(Cesare Pavese, 1946)


martedì 5 marzo 2013

Della superficie delle cose



I

Nella mia stanza il mondo è al di là della mia capacità di capire;
ma quando cammino vedo che consiste di tre o quattro colline e una nuvola.

II

Dal mio balcone scruto l’aria gialla,
leggo ciò che ho scritto:
“La primavera è una bella che si sveste”.

III

L’albero d’oro è blu.
Il cantante s’è alzato il mantello sul capo.
La luna è nelle pieghe del mantello.

( Wallace Stevens)



Of The Surface Of Things

I

In my room, the world is beyond my understanding;
But when I walk I see that it consists of three or four hills and a cloud.

II

From my balcony, I survey the yellow air,
Reading what I have written,
“The spring is like a belle undressing.”

III

The gold tree is blue.
The singer has pulled his cloak over his head.
The moon is in the folds of the cloak.


venerdì 1 marzo 2013

I rasoi fanno male



I rasoi fanno male,
i fiumi sono freddi,
l'acido lascia tracce,
le droghe danno i crampi,
le pistole sono illegali,
i cappi cedono,
il gas è nauseabondo…
Tanto vale vivere.

Dorothy Parker (1893-1967)