sabato 25 giugno 2011

La crepa nel tempo

L’odore del caffè al mattino presto che inonda tutta la casa mi fa sempre lo stesso effetto: vorrei riprendere a dormire e restare a letto per ore ed ore. E’ come quando fuori piove che lo scrosciare dell’acqua risuona come una ninna nanna che ti accompagna nel torpore dolce del sonno. Mi strofino la guancia tante volte sul cuscino, mi cullo un po’ dondolandomi col sedere come fanno i neonati... respiro il mio odore impresso nelle lenzuola. Allungo per un attimo una gamba nell’altra metà del letto: è fredda. Ritorno nella mia. Annuso il caldo buono della notte appena trascorsa.

Mi piace, io mi piaccio.

Resterei così ancora per molto, ma è ora di andare.

Lui sarà già lontano. Mi ha preparato il caffè ed è sparito, come gli avevo chiesto, portando con sé anche Nanà, la micia che da anni abita con noi la nostra casa.

Resto ancora per un attimo e mi ammanto di quel fruscio leggerissimo che fa la federa sotto l’orecchio.


Il caffè è ormai tiepido, come piace a me. Lo bevo sul terrazzo ancora non inondato dal sole. C’è una bell’aria la mattina presto e ancora molto silenzio, rotto solo da cinguettii, lontani e vicini, che si alternano.

Mi lego i capelli in una coda bassa, e, davanti allo specchio, mi stupisco delle fossette che mi si creano ai lati della bocca e sulle guance. Non me le ricordavo più. Da quanto tempo non mi guardo più allo specchio? Ritrovo il mio sorriso che, mi pare, conservi ancora un che di fanciullesco e vivo. Di chi ha trovato la chiave per non soffrire tanto, dice Giovanni e forse è vero. Forse no.

Continuo a guardarmi anche con la pelle verde dovuta ai fanghi del mar morto che spalmo con cura sul viso, trascurando gli occhi. Mi si crea dopo qualche minuto una maschera di argilla piena di rughe. Sarò così fra qualche anno?


Ci vuole anche un bagno rilassante con i sali e, mentre lo faccio, ascolto un cd dei radiodervish che non ascoltavo da anni. E’ ascensionale, secondo me.

Mi asciugo con cura e mi spalmo una crema al tè nero, cosa che non faccio spesso.

E’ quasi tutto pronto. Io sono quasi pronto.

Metto tutto nello zaino: un taccuino con la copertina di pelle nera e le pagine senza righi di carta riciclata, due penne, tre libri di prosa e due di poesia, la macchina fotografica e una bottiglia d’acqua.

Vado.

Percorro a piedi un sentiero che da casa mia, tagliando tutto il paese, sale su per le pendici del monte su cui è arroccato e, attraverso il bosco che mano mano dirada, mi porta dopo tre ore di cammino in cima.

Mi si apre davanti agli occhi una piana erbosa sterminata che mi porta dritto diritto in una casa di pietra e legno che uso più o meno una volta all’anno e solo quando ho voglia di stare un po’ da solo. Un po’ con me.

Al centro di essa, davanti ad un’enorme vetrata, c’è un letto immenso, che di notte guarda le stelle e di giorno gode di tutto il sole che in montagna è capace di arrivare. E adesso ce n’è tanto. Un letto non è mai un posto qualunque dove poggiare le membra e io l’ho sempre vissuto come una fenditura nel tempo, un passaggio segreto verso un altrove alla cui estremità ci sono io di nuovo. Sono io stesso quell’altrove: una crepa, negli istanti pieni dell’esistenza. E lì, in una piega piccola piccola al pari di un soffio, io mi accomodo e inizio la mia oziosa ricerca.

Racconto inedito di Maria Luigia Longo


3 commenti:

Angela ha detto...

stupendo...proprio come lo ricordavo!

Maria Luigia Longo ha detto...

Grazie! non mi ricordavo di avertelo fatto leggere. l'ho riscritto in alcuni punti (sul finale). Felice che ti piaccia!

Umbro ha detto...

Adoro questo racconto...