Ora scrivo con una certa regolarità.
Frequento assiduamente il mio diario. Me stessa.
Prima la scrittura era lenta e per nulla consolatoria, adesso è molto più scorrevole seppur ancora non del tutto illuminante, anzi, spesso è crudelmente disvelatrice di atmosfere cupe: la mia creatura è ingenerosa e ingrata. E’ traviata dal ruolo che ingiustamente le attribuisco: quello dello psicologo.
Ora non sono più certa che la funzione principale della scrittura sia quella essenzialmente catartica. E poi vecchie letture mi hanno insegnato che l’autoanalisi è pericolosa, ma non posso fare altrimenti, anche perché io non voglio alcun dottor S. pronto a cercare di districarsi in tanta vita e non mi piacerebbe l’idea di essere giudicata da un qualunque dottore, anche perché spesso sono stata brutalmente tacciata di essere pazza o strana, ma si sa, gli esseri senz’anima non sopportano chi ne ha troppa.
E intanto scrivo.
Chissà, poi, a cosa mi servirà questo mio scrivere e questo leggermi e rileggermi e rimuginare sempre e continuamente. Ogni esperienza la vivo e rivivo, la smonto e rimonto fino all’infinito. È una sorta di masturbazione mentale.
Ma non sono disposta a credermi pazza. So di non esserlo.
Brano tratto dal romanzo inedito
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