sabato 30 luglio 2011

3 giugno


Per oggi ne ho abbastanza, ne ho davvero abbastanza di sperare e aspettare che qualcosa cambi. Che senso ha continuare? E mi chiedo anche che senso abbia continuare a chiedersi che senso ha. Di fronte ad un muro che mi si pone davanti ogni qualvolta ho voglia di correre e di spiccare il volo, che senso ha? Ha senso continuare a battere la testa per cercare di penetrarlo?

E non serve angustiarsi scrivendo.

Ma la penna va da sola: con fiumi di inchiostro palesa i miei vuoti.

E dolcemente mi violenta.

Il segreto forse è entrare nel fiume e lasciarsi trasportare dal moto vorticoso della corrente soltanto lasciandosi andare.

Ci vuole carattere. E io voglio vedere il mare. Non riesco a fermare la mano e queste rivelazioni che provengono dalla penna, una roller ricaricabile, mi angustiano. Credo che la penna sia per un esistenzialista l’arma peggiore, quella che cinicamente colpisce e a poco a poco uccide. Si tratta di un suicidio consapevole che fa patire orgasmiche sensazioni di perpetua inappagabilità. La penna svela la verità: l’uomo è limitato nelle possibilità e infinito nei desideri. È una lama arrotata che seziona in mille pezzi l’inconscio, facendolo emergere dall’ombra e smaniare di manifestarsi. Sto cercando, scrivendo, di liberare il mio inconscio sublimandolo.

Come uno specchio questo foglio di carta mi raffigura in ogni mio atto e, me ne rendo conto, non fa altro che erigere mura altissime attorno a me, in una maniera che spesso mi appaga, ma oggi quest’atmosfera mi soffoca e la penombra della mia stanza, creata dal neon sulla mia testa, e il fumo caldo dell'ultima sigaretta, a cui si aggiunge pesante il mio marasma interiore, mi fanno bramare di uscire dalla coscienza e di accasciarmi in un angolo buio ed eclissarmi per sempre.

Sono stanca.

Vedo sul muro per effetto del neon ombre gigantesche che sembrano voler comunicare con me. Non voglio.

I rintocchi di un vecchio orologio mi scuotono e torno a scorgere le ombre.

Dò loro consistenza ed esse vagano per la stanza, attorniandomi vorticosamente ed entrandomi dentro. L’ombra più grande ha assunto sembianze umane: è una danzatrice orientale, ha un sorriso beffardo e un fiore tra i capelli e, a piedi nudi, mi saltella davanti e poi nell’anima, leggera come una pioggerellina. Si beffa di me che come un condannato a morte aspetto rassegnata davanti al muro la mia esecuzione. Ride e le sue risa mi fanno male. Il mondo si ferma a guardare estasiato il movimento armonico dei suoi fianchi.

Un’altra ombra scende dal muro, chiede la parola e acquista potere, più della danzatrice, la quale viene relegata in un angolo, il mio stesso.

È il boia e ha la mia stessa immagine: sono io.

Afferra per un braccio la danzatrice e l’attira a sé e poi le entra dentro in un afflato orgiastico, estasiando anche me. Sono sempre io: ho sembianze da leggiadra e bella danzatrice e animo da boia. Un altro rintocco. E voglio ancora vedere il mare. Non ho più difese e mi rendo conto che da sempre sono una spugna che assorbe emozioni sotto forma di contatti umani e li ricaccia sotto forma di desideri. Ricevo impulsi violenti, li decodifico, li rielaboro e li rimetto al mondo. Solo così potrò forse sperare di sentirmi ad ogni passo esistere. E solo così, forse, riuscirò a colmare i miei stramaledetti vuoti.

Manca un quarto alle diciotto, ora stranissima del giorno e priva peraltro di significato, e io voglio ancora vedere il mare.

Vorrei bloccasse la violenza immotivata del vuoto urlante che mi risucchia e vorrei lasciarmi tutto alle spalle e ricostruirmi frammento per frammento, rinnovata nei tessuti e molto più giù. Piena di me e di tutto ciò che mi appartiene e mi è appartenuto. Ma sono solo un prodotto per nulla omogeneo di luce ed ombre e voci e pensieri. Dissonanti fra loro e da tutto il resto.

È proprio e tutto qui: nella mancanza di unità ed omogeneità. E il saperlo mi annienta. Fino al punto che spesso desidero davvero chiudere gli occhi e distoglierli definitivamente da me stessa per non vedere più né luci né ombre e non sentire più le voci e gli schiamazzi della mia coscienza spezzata. Vorrei chiudere ogni passaggio.

Partire vestita di silenzi. Armata solo della voglia di ricominciare.

Il delirio dei pazzi!, direbbe Igor.

Ma non credo affatto di esserlo e non la darò mai vinta a quanti vorrebbero farmelo credere. Penso invece di essere finalmente molto lucida e sulla via di una soluzione.

Ci sarà, poi, davvero una soluzione?

Brano tratto dal romanzo inedito

Il sole è già quasi del tutto sparito dietro le montagne
di Maria Luigia Longo

3 commenti:

Maria Luigia Longo ha detto...

la riscrittura di questo vecchio romanzo in forma diaristica procede. Credo avrà bisogno di altre modifiche e ripensamenti. buona lettura e abbiate la pazienza di arrivare fino alla fine!

Anonimo ha detto...

ciao
fino alla fine ci sono arrivata e spero di arrivare alla fine della fine! scherzo...leggendo questo passo mi convinco sempre di più che la scrittura ha una sua corporeità, una consistenza tatile oltre che visiva ed uditiva. Insomma la scrittua lava l'anima, rinvigorisce un ricordo, fa sentire la presenza o la mancanza. buona scrittura e ci si legge a settembre
un caro saluto
carmina

Maria Luigia Longo ha detto...

Ciao Carmina e ben arrivata!
anche io penso, come te, che la scrittura abbia la capacità e la forza di costruire un mondo e, dunque, corpi, odori, sapori...
ecco, io sto cercando solo di materializzare questo mondo!
buon agosto e ci leggiamo a settembre!
un abbraccio