sabato 9 luglio 2011

28 maggio e 31 maggio


Ho un’orrenda voglia di scrivere adesso.

Ma sono troppo densa per riuscire ad abbandonarmi ad alterchi con me stessa. Sono oggi troppo piena di me. E inoltre la parola non riuscirebbe ad esprimere nemmeno la metà di quello che dovrebbe rappresentare. Sarebbe soltanto un segno. Nient’altro. Riprodurrebbe, forse, se sarò brava, immagini e creerebbe vite parallele, ma darebbe calore? Scalderebbe come una coperta? Non completamente. La parola oggi riuscirebbe soltanto a de-finire, de-limitare e, già solo per questo, a mortificare e deprimere. Sarebbe soltanto una costruzione retorica.

Il senso si perderebbe nell’istante in cui decido, prendendo la penna, di portare fuori da me quel sapore che ho in fondo allo stomaco, che attraversa l’intera mia persona per posarsi inerme sulla carta. Modificato. Abbellito. Sviscerato. Razionalizzato. Rimarrebbe lì, sul foglio, indifeso e malleabile, fino a diventare in molti casi diverso da come era stato sentito e, poi, pensato. Irriconoscibilmente stravolto nella sua essenza fino al punto che perfino io non lo riconoscerei e non lo sentirei più mio. E forse mi stupirei perfino di averlo avuto dentro e di averlo sentito. E in questo modo lo perderei: una volta liberato, il senso, diventa ambiguo: non è più uno solo ed unico, ma diventa tanti. Ecco: col frazionamento del tanto se ne frazionerebbe anche l’intensità, che scema a mano a mano che i frammenti si disperdono.

E tutto andrebbe in frantumi: pensiero, sentire, coscienza. Come la mia, adesso. Lo scrivo: la mia coscienza spesso va in frantumi. Vediamo che effetto mi fa rileggerlo: la mia coscienza va in frantumi. E il senso si disperde.

Come una nebulosa lo sento salire dallo stomaco e portare con sé un sapore intenso di un non so che di dolciastro e un po’ indefinito che contiene in sé tutti i sapori di un tempo ed alcuni nuovi, non del tutto ancora raggiungibili; va fino alla lingua e, percorrendola tutta, giunge alla punta e brucia, pulsa e smania di liberarsi, dandomi la brusca sensazione di non poterlo più contenere. È incontenibile e sguscia violento come un’eruzione. Una volta fuori esplode in mille forme. E non c’è più un solo sapore, ma una miriade. La mia coscienza e il senso che ho di essa sono in realtà una miriade. E tutto diventa piccolo e relativo. Come me.

Se solo potessi liberarmi di questo corpo! Non sarei più costretta a gesticolare. E a parlare. (Credo sia nel silenzio la vera essenza dell’essere). Spazierei, invece, in lungo e in largo, compatta, unica e sola. E non già con la disperata necessità di ricongiungere i miei frammenti. Potrei, in tal modo, sentire veramente l’altro da me e non invece sentire prima i miei frammenti e poi lasciare che l’altro si perda in essi e che occupi soltanto gli spazi vuoti tra l’uno e l’altro. È sempre così. Tanto che spesso preferisco non incontrare nessuno e chiudere ogni rapporto. Perfino con me stessa. Anche stasera.

31 maggio

Scivola verso la notte anche quest’ultima giornata di maggio ed è più denso anche il senso che ho io della notte. Mi muovo a fatica in questa densità di sentire. Tutta la mia smania mi attraversa le membra e mi avvicina, oggi di più, all’io.

È molto tardi, ho voglia di uscire, di allontanarmi con l’auto e raccogliere tutto quello che la notte è capace di offrire. Mi eccita già solo l’idea di correre, in auto, sotto un cielo così tranquillo e di un blu perlato e morbido. Silenzioso. La strada è deserta e questo mi va bene: non voglio nessuno con me.

L’aria è molto calda e leggera e mi dà la lieve sensazione che ovatti la mia presenza in sé, dando all’intera immagine un non so che di surreale e quasi fiabesco. La luce chiara della luna immensa riduce quasi del tutto l’oscurità, immergendo ogni cosa in un lieve gioco di chiaroscuri artistici, fatti quasi per un voluto incanto. Sono un gioco di luci anch’io e se la strada fosse diritta lascerei il volante andare dove vuole la notte, o la luna (che sembra essere la vera artefice di questo splendore): è grande, perfettamente tonda, come fatta da un compasso gigante mosso con maestria da una mano che entra nel quadro senza creare scompiglio; sembra sia sorretta dalla piana erbosa che precede la riga dell’orizzonte. È gialla, di un giallo chiaro che, in contrasto col blu del cielo, dà un tocco di profondità.

Tutto sembra essere fisso, immobile, cristallizzato nell’immagine che ho avuto al primo sguardo: gli alberi ai bordi della strada, i campi circostanti, lo scorcio di paesaggio sotto la luna immensa, la forma il colore e la grandezza della luna stessa, l’aria calda e inebriante, il cielo inebriante. Il cielo.

Continuo a scivolare verso la notte, ricca di immagini troppo vive per essere contenute lì, con tutte le altre e con tutto il resto. Troppi istanti: e sgorgano tutti in un pianto violento, insensato: singulti contro quella luna immobile.

Per un attimo trema la terra. O sono io a tremare.

Non so. Non so distinguermi dal di fuori.

Mi sono intanto fermata al lato della strada. Mi trovo in un luogo periferico. La strada è ancora deserta, ma popolata di immagini e di ricordi. Respiro l’odore pungente dei vecchi fantasmi che abitano quell’angolo ancora troppo grande della memoria. Resto un po’ sospesa tra l’ieri e l’oggi, in silenzio. Sorrido di me, così melanconica. Ho più ricordi che se avessi cent’anni! Infatti non sono sola: sono infestata dai soliti fantasmi. Magari potessi davvero godere della vera solitudine muta!

Sorrido, scarto una caramella balsamica e vado via.

Torno a casa: sono quasi stremata. Stremata dalla luna (sembra, per assonanza, il titolo di un film né bello né brutto) e stremata da questo ennesimo viaggio mentale.


Brano tratto dal romanzo inedito


Il sole è già quasi del tutto sparito dietro le montagne

di Maria Luigia Longo

2 commenti:

cooksappe ha detto...

una nabelosa nello stomaco?? succede! hai provato a grigliare le melanzane, anziche' friggerle?

Maria Luigia Longo ha detto...

ciao! sì, le melanzane fritte lasciano postumi ben più fastidiosi di quello di cui parlo io. :)