martedì 22 gennaio 2013

Alla mia terra




lo so che nulla potrà mutare
il nero della mia gente,
il soliloquio scende
come una sera di scirocco
e non ha ragioni, non ha patria.
Io so che nulla potrà spiegare
la testa dura dei bambini,
mia madre non sa calmarli,
scende per i vicoli la stella
e da ogni casa
pare che venga e sia lontano il mare.
Io so che nulla si consuma
e profumo di mura e vecchie notti
un vento solitario come ardendo
nelle donne trabocca. La rovescia
nella polpa degli occhi il solleone.
Anneriscono ardendo. Lo spiraglio
delle notti festose, il brulichio
dei gioielli di voto, in un biroccio,
di sonagli dirupa.
Io so che il corpo ammala ove l'abbaglio
d'un ritratto è funesto,
il fuochista d'argento stralunato
nella stanza del porto.
Il mare ventilava i suoi capelli.
Io so che nulla potrà mutare.
Il cuore della mia gente,
il pianto dentro i muri nella sera,
i paesi violati da un respiro
di vento appena.
I morti nuovi brucerà l'estate,
fumerà l'azzurro
dai ruderi che l'afa slarga al mare.
Ossessa ossessa,
mia terra fedele al soliloquio
che sale incontro ai monti e le gramaglie
trascina, le sue colpe,
l'innocenza ferita come un figlio.

(Alfonso Gatto, La storia delle vittime)


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