1. Nei tuoi primi libri, “Paesaggi di Tempo” e “Contare le parole”, si respira una forte attenzione per la memoria, per ciò che resta e si sedimenta. Come nasce il tuo rapporto con il tempo e con la scrittura come strumento di conservazione?
Credo che la scrittura sia la mia forma personale di resistenza al tempo. “Paesaggi di Tempo” è nato proprio dal bisogno di capire come il passato si stratifica nelle persone, nei luoghi, nei gesti. Non mi interessa la nostalgia, ma la memoria come spazio attivo, come zona di trasformazione.
2. In “Contare le parole” sembra esserci una tensione tra il bisogno di precisione e la libertà poetica. Come bilanci la misura e l’emozione nella tua scrittura?
È una tensione costante. “Contare le parole” è quasi un manifesto del mio modo di procedere: ogni parola deve pesare, ma anche vibrare. Misura e vertigine, controllo e cedimento – cerco quel punto in cui si toccano.
3. “I segreti della Dalia” appare come un testo più narrativo, quasi con tratti simbolisti. Da dove nasce questa storia e cosa rappresenta per te il fiore della dalia?
La dalia è un fiore che trattiene il mistero: è elegante, ma mai sfacciata. Il libro nasce da un’immagine, una donna che custodisce qualcosa – un’assenza, forse – come si custodisce un giardino segreto. Mi interessava indagare quel tipo di femminilità silente e potentissima.
4. Passando a “Miniature”, si percepisce un lavoro di cesello, di sguardo ravvicinato. Come hai concepito questa raccolta? È stato un esercizio di sottrazione o di concentrazione?
Entrambi. “Miniature” è nato da un desiderio di silenzio. Di dire solo l’essenziale, ma senza mai rinunciare alla complessità. È un libro piccolo solo nel formato. L’ho scritto come si lavora l’oro: per levare, non per aggiungere.
5. Il tuo ultimo libro di poesie , “Vita amorosa”, è un titolo che richiama un’esperienza intima ma anche universale. Come hai lavorato sul linguaggio del desiderio e dell’amore?
Con molta cautela, quasi con pudore. L’amore, nella sua declinazione umana, concreta, imperfetta, è sempre stato presente nei miei testi, ma qui volevo esplorarlo frontalmente. Non idealizzarlo. Parlare dell’attesa, del corpo, della fine. Senza retorica, senza difese. Qui volevo indagare l'eros.
6. Nei tuoi testi l’amore è spesso ambivalente: presenza che consola e insieme ferita che si riapre. Quanto autobiografismo c’è in questa rappresentazione?
Scrivere è sempre un gesto che parte da sé, ma non si esaurisce nel privato. Cerco l’archetipo, non la cronaca. È una intimità non un dato biografico.
7. Molti lettori notano una musicalità costante nei tuoi versi, anche quando il tema è duro o tagliente. Quanto conta per te il ritmo nella composizione poetica?
Moltissimo. La poesia è suono, prima ancora che significato. A volte una poesia nasce da un ritmo che mi porto dentro da giorni. Il tono, la cadenza, sono parte del senso. Mi muovo sempre sul confine tra parola e musica.
8. Hai dichiarato in alcune interviste di essere molto attenta alla revisione. Qual è il tuo metodo di lavoro? Scrivi di getto e poi torni più volte sul testo, o ogni parola nasce già con un peso definitivo?
Scrivo d’istinto ma con una consapevolezza che deriva dalla grande letteratura che mi abita. Posso tornare sulla stessa poesia decine di volte. Ma non per sterilizzarla, bensì per ascoltarla meglio. Voglio che il testo arrivi nudo, ma non spoglio.
9. Nelle tue opere ricorrono spesso figure femminili silenziose ma potenti. Che rapporto hai con il femminile in letteratura? Ti riconosci in una genealogia di autrici?
Sì, ma non in maniera esclusiva. Ho amato le voci appartate e resistenti: Cristina Campo, Ingeborg Bachmann, Alejandra Pizarnik, Saffo. Il femminile per me è potenza quieta, visione laterale, profondità che non chiede il centro della scena. Ma nelle mie scelte il genere esteriore conta poco.
10. Spesso affidi ai tuoi testi un tono quasi sospeso, al confine tra il reale e il visionario. È una scelta estetica o nasce da una tua personale percezione del mondo?
È il mio modo di guardare. Vedo tutto come in filigrana, come se il reale avesse sempre una doppia ombra. Non cerco il simbolismo, ma mi trovo spesso in quel punto in cui le cose sfumano, diventano altro. È lì che nasce la poesia.
11. Qual è il ruolo del paesaggio nei tuoi libri? A volte sembra essere più un’eco emotiva che un ambiente fisico…
Hai colto bene: per me il paesaggio è un’estensione dello stato interiore. Una collina può essere malinconia, un temporale può essere desiderio. Non descrivo mai per puro realismo, ma per consonanza.
12. Hai mai sentito il bisogno di scrivere in prosa lunga, in forma romanzesca, o la poesia resta il tuo linguaggio più naturale?
La poesia resta la mia lingua madre, ma qualcosa si muove. Sto scrivendo testi più lunghi, forse una forma ibrida. Non so ancora se sarà romanzo, racconto, o una prosa poetica estesa. Ma sto esplorando.
13. Molti giovani autori e autrici ti leggono con interesse. Cosa consiglieresti a chi oggi vuole scrivere poesia, in un tempo che sembra avere poco spazio per l’ascolto profondo?
Di non avere fretta. Di leggere moltissimo. La poesia non nasce dal nulla: nasce da altri poeti, da una lunga attenzione, da un vuoto che si colma solo scrivendo.
14. Stai lavorando a un nuovo progetto? Puoi anticiparci qualcosa sui tuoi prossimi passi?
Sto scrivendo un libro sul silenzio. Forse sarà ancora poesia, forse no. È nato da una parola che non riuscivo a pronunciare, e ora cresce in direzioni che non immaginavo. Qualcosa sta arrivando.
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