martedì 3 luglio 2018

I SEGRETI DELLA DALIA visti da Elio Spada


Cari amici,
Elio Spada, nella serata a Introbio, ha così introdotto e accompagnato I SEGRETI DELLA DALIA.


" M. Yourcenar (Memorie di ADRIANO)
ricostruire significa collaborare con il tempo, nel suo aspetto di "passato", coglierne lo spirito o modificarlo (...) significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti
".

E’ proprio questo ad accadere nel testo prodotto da Maria Luigia: la giustificazione dell’anima e della sua ragione attraverso le cose, gli oggetti.
Ascoltate. incipit

E’ la materia che parla a noi di noi. Le cose hanno una voce che non possiamo non ascoltare.
Gli oggetti ci parlano del tempo. Ci inducono a misurarne lo scorrere. Perché il tempo, (credo sia, questo, uno degli assunti fondamentali della storia di Nico, il protagonista) è una nostra creatura, una sovrastruttura psicologica prodotta da sensazioni, sentimenti, emozioni. Una realtà che non possiede esistenza propria. E’ l’anima che genera il nostro tempo, che rileva il divenire del mondo in un contesto assolutamente ego-centrico. La nascita, la crescita, la dissoluzione finale dicono il tempo. Ascoltate ancora l’altra Maria Luigia, la poetessa: “Il tempo è sulle rughe / di tua madre / vestita d’amore antico” La verità è che i luoghi, gli oggetti, la materia parlano.

Seconda citazione “...le cose parlano”

Nasce così, accanto e dentro ad un intento certamente autobiografico, una stratificazione autogeografica conficcata profondamente nel “dintorno”, nel paesaggio, si direbbe oggi nella location. La narrazione psicologica assume in tal modo la rilevanza per così dire topografica di una mappa interiore.

Dunque, dicono le parole di Maria Luigia, il tempo non passa; sono le cose a passare; noi passiamo.
E questo passare lo chiamiamo tempo. La “distensio animi” di Agostino, il distendersi dell’anima nel fluire delle cose. La materia si muove. L’anima, la psiche, può solo adagiarsi, lasciarsi, trasportare e sedurre.

Per questo, dire ciò che siamo è difficile, come dimostra Nico con i suoi silenzi ostinati, con le sue chiusure proterve, Più facile, molto più facile è dire che cosa facciamo. O che cosa vogliamo fare. Come lo scontro violento, materiale, realissimo del protagonista con Leonardo, il perfido zio - padre.

Per questo muoversi tra le cose è semplice. Il flusso è vita. E la vita non fa domande. Offre solo, a volte, risposte. Spesso spiacevoli, mai equivoche. Ecco perché, alla fine della sua anabasi, della sua risalita dall’abisso che lo inchiodava al silenzio, Nico “...infilò l’indice...” Lettura dell'ultimo brano.

Ancora una volta è il movimento di una “cosa”, l’andata e il ritorno ad un nuovo “punto di partenza”, a produrre il novum, l’ultimo passo verso la catarsi, verso la rinascita.






2 commenti:

saverio ha detto...

Ciao Gigia, ho letto il tuo bel libro e devo ammettere che fin dalle prima pagine è stato coinvolgente e in qualche modo seducente. Il mio è ovviamente non un giudizio da critico letterario ma la suggestione e le impressioni di un comune lettore. Come si diceva nella presentazione di Olginate “non è un giallo” ma come un giallo ti conquista e ti cattura. Una volta iniziato si ha voglia da subito di continuare a leggerlo cercando di evitare le pause.
Il contesto dei luoghi e delle persone rimanda inevitabilmente, a chi come me viene dal sud, sensazioni ed emozioni vissute in prima persona… la carne col sugo, la gente che parla, la libretta della nonna, la terra arsa e assolata, i parenti assillanti, la gente del paese, ecc…
Ma penso che ogni lettore ha l’occasione, leggendo il libro, di sentire risuonare qualcosa di più strettamente personale, rappresentato magari in qualcuno dei personaggi o in qualcuna delle situazioni particolari raccontate.
A me ha suscitato molto interesse (e penso come alla maggior parte dei lettori) il personaggio di Nico, interesse che è aumentato man mano che si arrivava allo svelamento della verità (un pugno allo stomaco!)
La sua condizione di estraneo in casa propria (“mi sento uno straniero che non parla neanche la lingua locale”), ben delineata nella prima parte del libro, rimanda a qualcosa che, penso, ognuno di noi può aver vissuto o vivere. Mi pare infatti che il personaggio, con i suoi silenzi e le sue assenze, rappresenti appunto in modo chiaro ed esplicito quella condizione di estraniazione (qualcuno direbbe di alienazione) che fa sentire il mondo circostante estraneo e lontano. Una condizione di sofferenza e di disarmonia che fino a quanto, come nel caso di Nico, non si arriverà a svelare attraverso la conoscenza della propria storia e delle dinamiche personali e sociali che hanno determinato quello che siamo, non potrà essere superata.
Questa dinamica personale, per analogia, potrebbe essere riportata sul piano sociale e collettivo: l’attuale situazione di crisi e di generale estraniazione non è un puro accidente capitatoci per caso o per vendetta divina, ma il risultato di una storia collettiva, di una evoluzione sociale, le cui dinamiche fondamentali non siamo riusciti ancora a cogliere e a dispiegare consapevolmente. E fin quando non lo faremo perpetueremo l’attuale sofferenza. Ma il discorso qui passa dalla letteratura alla sociologia… per ciò su questo mi fermo e non aggiungo altro.
Certamente alla fine della lettura le curiosità da approfondire e le domande su ciascuno dei personaggi da te magistralmente descritti sarebbero tante, però mi piacerebbe porgertele direttamente e perciò le riservo alla prossima occasione d’incontro.
Concludo ribadendo che, secondo il mio semplice parere, il tuo libro possa essere considerato un’ottima “opera prima” (romanzo), che sicuramente ha visto da parte tua un lavoro accurato e certosino e che pertanto merita i dovuti riconoscimenti. Il mio augurio è che tu possa proseguire su questa strada con altri lavori e/o progetti, potendo così regalarci un’altra prossima opera da leggere e godere.

Saverio Catalano

Maria Luigia Longo ha detto...

Caro Saverio, le tue parole mi fanno davvero piacere, grazie. Avremo modo di riparlarne
Un abbraccio