martedì 28 ottobre 2014

Tangeri









I bambini.

Il giorno fa i capricci e sul tardi
al netto degli sguardi e sui tralicci
si alzano les enfantes de rue
e giocano a scacchi col destino che lì
vicino ogni giorno è rendez-vous
mancato, invisibile trama di vuoti.

Si muovono in branco legati poi
da un laccio alla gola dietro al muro
scrostato che stringe che sbarra che è
principio e fine di un orizzonte
perduto. I bambini che non sono
bambini hanno occhi mobili con

corpicini bruciati dal sole da
ombre da mozziconi e da adulti
indifferenti colpevoli e silenti;
les enfantes de rue sono lì
senza chiedere, senza voce e con il
solo scopo di arrivare al giorno

del bagno, del pranzo e della cura
senza domande. Il padre è il branco
la madre la strada e niente ha parola
di domani. Qui e ora e non plus ultra.


***

La strada e la conta.


Un due tre stella la vita è sempre quella
cinque sei sette anni e il gioco è
arrivare vivo fino a sera; chi c’è?

Son io son io che trattengo il fiato
e nel dirupo tra la mancata colazione
e per pranzo colla o mozzicone
resto in piedi e controvento
a rischiare ogni giorno uno spavento.


Il branco nell’erba e poi tra i vicoli
si allarga con i suoi tentacoli
braccine annerite e logore di
giorni che passano su calendari
sbiaditi. Uno di meno uno di più
chi manca stasera tornerà più? 

Ma tu
che mi guardi e forse mi vedi
cosa vedi?
Cosa credi
del mio giorno disabitato?

Il branco di bimbi 
- due tiri a palla, due di colla -
è stanco e chiude all’alba la notte
qualcuno steso con lividi di botte
- la coperta per terra come lettone -
appoggia il cuore svuotato accanto al pallone.


*** 

E io.

Cammino incontro alla sera
ascolto viottoli bui e voci migranti
rincorro figure sdrucite di infanti
e li scovo dentro, teneri esitanti.

Tangeri è sonno, leggero
è riposo dopo la fuga.
Mi accoglie il risveglio presente
perché quando sono qui
io sono qui.

Il buio non stringe
e di notte le voci
non hanno strascichi.
Tutto in fondo tace.
I sogni tornano
a spaesare parole
a cominciare mondi.

Di nuovo c’è
che il fuori è
ritrovato curioso incontro
come fosse
di nuovo
incanto.

(Maria Luigia Longo, Poesie/Cantiere, agosto 2014, foto di Michela Magni)





Viaggiare è sempre un buon modo per ritornare a sé e Tangeri, per me, ha rappresentato un viaggio nel viaggio. E, dunque, un ritorno ma anche una  ripartenza. Un andare attraverso le forme della ricerca per particolari, lembi e bagliori.
E lungo la strada ho raccolto un più composito modo di leggere e ho incontrato occhi che mi hanno forse mostrato un diverso modo di guardare.
Per il resto, "[...] Il cammino s'è fatto più stretto, ma ogni giorno avanza."







domenica 26 ottobre 2014

Poesia d'amore per Berto.


Tutti i baci di Lesbia e di Catullo
e gli altri dell'amante più vorace
e di quello più incauto ed estenuato
- d'inverno con la lampada azzurrata
e l'improvviso stupore dell'alba,
nei pomeriggi lunghi dell'estate -
noi ci scambiammo come il dono estremo
che doveva bastarci dentro l'attimo
che in un attimo solo ci toccava.

(Elio Pecora) 

giovedì 23 ottobre 2014

Ancora la vita


Ancora la vita
come fosse un altrove
da abitare nel sogno
e questa - di rabbie, di attese,
e pure cara, cercata -
la porta da valicare,
una vigilia, una sosta.

Ancora l'ansia,
come scura semenza
da concimare, annaffiare,
e in essa la mappa
per seguitare il viaggio.

(Un pomeriggio, a Sabaudia,
nella tua ultima estate
- dal terrazzo tua madre
chiama il mare che avanza -
maledici il catrame
dentro la sabbia, lungo la battigia,
e stupisci dell'olio
di uliva che smacchia).

(Elio Pecora) 

lunedì 20 ottobre 2014

Schiumeggia sognando



*
…schiumeggia sognando. Il fissatore apre
l’acquaragia, altre movimentazioni
forniscono acerbe, suppuranti idee
di restauri in trasloco in parte fatto
nel frastornio raffinato, un sedile
vuota il rosmarino allietato che unge
due candele, un metro a stecche, un dolore
composto come quello angelicato
dei vergini al feretro paterno, è uso
calcolato in decimali esigenze
di rinnovo, d’incunabolo a attrito
radente e i solfeggi accurati in zone
di elettrostrizione ai giunti che vagano
nell’erba alti e perplessi, i giunti cardanici.


(Alfonso Guida, San Mauro Forte, primavera 2007)

domenica 19 ottobre 2014

Lucania


Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi,
a chi scende per la stretta degli Alburni
o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra,
al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte
con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato,
a chi torna dai santuari o dall’esilio, a chi dorme
negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante
la Lucania apre le sue lande,
le sue valli dove i fiumi scorrono lenti
come fiumi di polvere.

Lo spirito del silenzio sta nei luoghi
della mia dolorosa provincia. Da Elea a Metaponto,
sofistico e d’oro, problematico e sottile,
divora l’olio nelle chiese, mette il cappuccio
nelle case, fa il monaco nelle grotte, cresce
con l’erba alle soglie dei vecchi paesi franati.

Il sole sbieco sui lauri, il sole buono
con le grandi corna, l’odorosa palato,
il sole avido di bambini, eccolo per le piazze!
Ha il passo pigro del bue, e sull’erba
sulle selci lascia le grandi chiazze zeppe di larve.

Terra di mamme grasse, di padri scuri
e lustri come scheletri, piena di galli
e di cani, di boschi e di calcare, terra
magra dove il grano cresce a stento
(carosella, granturco, granofino)
e il vino non è squillante
(menta dell’Agri, basilico del Basento)
e l’uliva ha il gusto dell’oblio,
il sapore del pianto.

In un’aria vulcanica, fortemente accensibile,
gli alberi respirano con un palpito inconsueto;
le querce ingrossano i ceppi con la sostanza del cielo.
Cumuli di macerie restano intatte per secoli:
nessuno rivolta una pietra per non inorridire.
Sotto ogni pietra, dico, ha l’inferno il suo ombelico.
Solo un ragazzo può sporgersi agli orli
dell’abisso per cogliere il nettare
tra i cespi brulicanti di zanzare e di tarantole.

Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse.
tornerò senza colpe a battere il tamburo,
a legare il mulo alla porta,
a raccogliere lumache negli orti.
Udrò fumare le stoppie, le sterpaie,
le fosse, udrò il merlo cantare
sotto i letti, udrò la gatta
cantare sui sepolcri?

(Leonardo Sinisgalli)

sabato 18 ottobre 2014

Lucania



M'accompagna lo zirlìo dei grilli
e il suono del campano al collo
d'un'inquieta capretta.
Il vento mi fascia
di sottilissimi nastri d'argento
e là nell'ombra delle nubi sperduto
giace in frantumi un paesetto lucano. 


(Rocco Scotellaro) 

giovedì 16 ottobre 2014

Dislocamenti.



Si vive da acrobati nelle scissioni plurime
saltellando qua e là ondivaghi a caccia
di parti implose e finite nei recessi infiniti
d’inconsci di tutti i tipi e parti esplose
disseminate e visibili ma inarrivabili
per la loro folle mobilità
nell’area della ritrosia.
Il pensiero sottratto dunque
dondola a pochi metri dal corpo
lo si contempla come forma vagante
desiderante e non pregnante,
da cui giungono riflessi di fragili ragioni
reperti di logiche erranti
fanali tenui nella notte senza stelle.
Alle pareti del cervello
vi sono ancora intonacate congetture
ipotesi di pensiero a venire,
nessuno può dire se sarà unitario
dopo il grande sbando di fuga
se tornerà ad esprimersi, tutto blando e feroce.

(Vito Riviello)

domenica 12 ottobre 2014

E c’è che manca.



E c’è che manca
il fluire del tempo
tutto intero
quando il cielo
pur se nero
era vero.

(Maria Luigia Longo, Poesie/Cantiere, 1 ottobre 2014)


Se il silenzio è più intenso


Se il silenzio è più intenso
non solo d'ogni rumore
ma d'ogni più alta musica
e la quiete più vasta
non solo delle tempeste
ma del respiro delle maree
io non ti chiamerò più: vita
ma ti darò un nome più dolce.

(Lalla Romano)

martedì 7 ottobre 2014

Un'altra ora e ce ne sono state.


Un'altra ora e ce ne sono state,
ce ne saranno ancora, forse meno
di prima, contenute nelle case,
costrette nelle cose, e forse troppe
ne restano, di ore da riempire,

di ore già passate,

non aggregate, pezzi di giornate
a farne uno, un giorno per intero,
almeno uno, un giorno che sia vero:
ci basterebbe, credo, nel frastuono
iniquo d'ore, un giorno solamente.


(Aldo Nove, da Addio mio Novecento)

lunedì 6 ottobre 2014

Paoletta.


Il forte silenzio
gettato sul tuo corpo
mi accompagna in questo paesaggio
di metano e di palestre
ecco il golf di lana spessa
sulle braccia vittoriose
della fanciulla campionessa
la cintura nera sul kimono
l’asfalto imbevuto
di peso buio.
Tutto è ancora qui
nelle segrete espansioni nella ginocchiera
che ci siamo scambiati
a fine gara: piove sul Fossati
e l’acqua ci sta accanto, l’acqua vera
del battesimo e del pianto
che spense la prima candelina,
quel polso leggero,
quel prendere netto.
Così finisce, così ci si inchina
colpo di grazia
nel corpo benedetto.

(Milo De Angelis)

venerdì 3 ottobre 2014

Non di questo presente bisogna.


Non di questo presente ora bisogna
vivere - ma in esso sì: non c'è modo,
pare, d'averne un altro, non c'è chiodo
che scacci questo chiodo. Nè a chi sogna

va meglio, che le più volte si infogna
a figuararlo, e fa più groppi al nodo
se cerca di disfarlo (sta nel todo
che si crede nel nada, sempre) o agogna,

ma con che lama? troncarlo. La mente
infortunata non ha altra fortuna,
dunque, che nel pensiero? Certo a niente

più la mia si consola che se in una
deposizione o un offertorio gente
dispersa solennemente s'aduna.

(Giovanni Raboni, da Altri Sonetti)